“ALJAMA” Antichi canti del Mediterraneo. Il nuovo disco di Claudio Merico e Giulia Tripoti che nasce dal programma musicale “Sefarad”.
Il programma “Aljama” degli artisti Claudio Merico e Giulia Tripoti, prodotto da Karkum Project, è il frutto di un lavoro di ricerca, studio e concerti in giro per l’Italia, cominciato nel 2018. Prende vita dal programma musicale “Sefarad” ed è un viaggio temporale e geografico che, partendo dai canti delle antiche comunità sefardite, cristiane e musulmane della penisola Iberica (Al Andalus), viaggia lungo il Mediterraneo per poi approdare in Turchia, seguendo idealmente migrazioni e diaspore dei popoli nei secoli.
Il focus di partenza, dunque, è incentrato sulle antiche comunità iberiche, che per molti secoli convissero, per poi seguirne le migrazioni in un percorso temporale per tutto il Mediterraneo (come nel caso della diaspora sefardita) fino alla Turchia.
Con il nome “Aljama” si indicavano le minoranze arabe e sefardite ancora presenti nella penisola iberica dopo la caduta dell’Impero arabo.
Il disco è il frutto delle esperienze musicali, in cui non mancano sfumature artistiche ed estetiche personali, con una visione per certi versi moderna e non necessariamente filologica, che mira a far proprie queste meravigliose sonorità.
Le atmosfere spaziano tra momenti puramente melodici e meditativi, ad altri più ritmici e coinvolgenti. Dalle Romanze sefardite alle Cantigas de Santa Maria, fino alla Musica Al-Ala andalusa, in perfetta sintonia con l’incontro di culture, religioni e popoli, che da secoli caratterizza la storia del “Mare di mezzo”.
Claudio Merico – viella, ribeca, violino, symphonia, rebab arabo andaluso, oud, cori.
Giulia Tripoti – voci, bendir, flauti, saz, symphonia, percussioni, cori.
Aljama – IL DISCO
Il disco “Aljama” è un viaggio di nove tracce, che parte con le festanti sonorità medievali della cantiga popolare sefardita “Avrix mi Galanica”.
Ritmica e gioiosa ambientazione musicale tra flauti, tamburi e stridenti archi medievali come la viella, ribeca e symphonia,
per continuare il suo viaggio nel medioevo degli antichi culti Marianici iberici, con la cantiga 344 “Os que a Santa Maria”.
La lode a Maria parte con un intro di symphonia, che seguendo la tradizione araba del “taksim” introduce i punti chiave della melodia
e del modo (gregoriano) per poi lasciare spazio ad un trio, dal sapore “sospeso” di voce, viella e symphonia, con uno sviluppo in crescendo
del livello sonoro e dell’arrangiamento.
Con la terza e la quarta traccia, il disco abbandona le sonorità medievali per affrontare in modo più moderno due canti sefarditi. “Si veriash a la rana”, antica filastrocca bulgara sefardita, codificata da secoli
di influenza e cultura ottomana, dovuta alla diaspora ebraica. “El rey de Francia” antica e dolce romanza sefardita, si presenta artisticamente in chiave del tutto personale.
La quinta traccia, segna il punto mediano del disco con una Twichia andalusa. Uno strumentale nel modo “Asbahan” antica melodia, tramandata oralmente
spesso utilizzata come complemento tra i canti delle “Nubat” andaluse, nella musica classica andalusa”Al-ala”, presente ancora oggi in Marocco.
Gli strumenti utilizzati sono i tipici di questo genere: Oud maricchino, flauti dolci, bendir e il caratteristico “rebab arabo-andaluso”
un antico quanto arcaico antenato del nostro moderno violino.
La seconda parte del disco prosegue con la famosa Cantigas 302 “A madre de Jhesu Cristo” e con un antico testo poetico di Ibn Al-Jhatib “Escanciadme”
presente nella tradizione musicale classica andalusa.
Il penultimo brano è la struggente e profonda canzone sefardita “Yedi Kule”, ambientata nelle carceri di Istanbul seguita dal bucolico ed emotivo
saluto sonoro affidato al brano sefardita “A la una yo nacì”.
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